Archivi categoria: Curiosità grammaticali

Quando ci chiedono a quale nazionalità apparteniamo, d’istinto rispondiamo: “italiani”…ma sappiamo parlare e scrivere correttamente la nostra stessa lingua? Oggi più che mai si invita allo studio delle lingue straniere perché indispensabile mezzo di comunicazione, ma come possiamo accingerci allo studio di una lingua straniera se non conosciamo correttamente neanche la nostra stessa lingua? Allora lo scopo di questo spazio è di sciogliere i dubbi che appaiono più banali ma, ahimè, al tempo stesso, anche i più comuni, a quel punto imparare una nuova lingua sarà una passeggiata!

Il congiuntivo NON E’ facoltativo

Non sempre l’evoluzione ha risvolti positivi o, per lo meno, non conosce solo quelli, ci sono ambiti che con l’evoluzione, con la tecnologia, sono stati penalizzati anziché averne riscontrato miglioramenti:  si pensi alla nostra stessa lingua.

Ma come può la tecnologia aver influito sulla nostra lingua?

Fondamentali mezzi di comunicazione e d’informazione sono i mass media, i telegiornali e le nuove testate giornalistiche online: basta accendere la televisione per constatare, con immensa tristezza, un uso inappropriato dell’italiano adoperato in maniera informale, inquinato di gerghi ormai pilastri dell’informazione e dall’inesistente utilizzo di alcuni modi verbali e dall’uso assolutamente errato di altri.

Quante volte correggendo un indicativo utilizzato in maniera inappropriata al posto di un congiuntivo ci siamo sentiti rispondere “ma ormai queste differenze non contano più, lo dicono anche in televisione”?

Ci rendiamo conto di quanto questi mezzi siano estremamente potenti e che abbiano, con la forza dell’errore costante, ormai convinto la maggior parte degli italiani nell’utilizzo scorretto ma giustificato della loro stessa lingua.

L’anno scorso partecipai grazie ad un convegno tenuto nella mia facoltà (Lettere e Filosofia Università degli studi di Bari “Aldo Moro”) al Link Festival, un convegno sul giornalismo ai tempi della tecnologia nel quale, nelle quattro giornate previste, ci spiegarono come lo stesso giornalismo si sia dovuto adeguare alle nuove forme tecnologiche,di quanto si avvalga dei social network e degli utenti che vi navigano, di quanto oggi, a differenza di prima, ci sia un bombardamento d’informazioni ma che appunto per questo sia necessario saperne fare una selezione, di quanto oggi l’informazione sia facile (basta un clic!) e di quanto essendo usufruibili sui social network il linguaggio si sia dovuto semplificare, caricare di gerghi, abbreviare e, dunque, penalizzarsi, per poter giungere a qualsiasi tipo di utente.

La nascita dei social network ha contribuito incredibilmente a questa penalizzazione della nostra lingua: chat, messaggi istantanei, whatsapp.

All’insegna della comunicazione odierna abbiamo due parole chiavi: brevità e concisione, nessuno si preoccuperà di un indicativo al posto del congiuntivo, del grafema straniero “k” sostitutivo di “ch”.

Affermazioni come “speriamo che domani non piove” fanno rabbrividire.

Andiamo per gradi: anzitutto partirei dalla spiegazione dei due modi e di quale sia lo scopo del loro utilizzo.

L’indicativo è un modo ed il modo indica il tipo di comunicazione che il parlante instaura con il suo interlocutore o l’atteggiamento che il parlante assume verso la sua stessa comunicazione.

L’indicativo presenta un fatto nella sua realtà, dunque una certezza: “l’esame è andato bene, ho preso trenta”.

Il congiuntivo, invece, non indica un qualcosa di certo, indica un qualcosa di desiderato, di temuto, voluto, supposto e quindi prevede un certo grado di allontanamento dalla realtà o dalla constatazione obiettiva di qualcosa, quindi diremo: “speriamo che domani non piova” e non “speriamo che domani non piove” perché se è un qualcosa che desideriamo ma del quale esito siamo incerti utilizzeremo il congiuntivo per le ragioni sopra esplicate e non l’indicativo.

Ciò che più mi rammarica è che l’interesse della trasmissione di un buon linguaggio sia ormai un vago ricordo soprattutto nei mezzi comunicativi che sempre promotori ne dovrebbero essere e che di circostanze formali come un telegiornale non dovrebbero farne una conversazione da chat o fra amici. Si pensi allo stesso Festival di Sanremo, fin da sempre importantissimo appuntamento culturale della televisione italiana, condotto da personaggi pubblici quali la stessa Littizzetto o gli stessi comici Luce e Paolo che ne hanno fatto divulgatore di un linguaggio scadente e non poche volte volgare.   

Tralasciando questo mio doveroso commento personale non solo in quanto studentessa in Lettere ma soprattutto in quanto cittadina italiana (e fiera di esserlo), mi auguro che questo articolo sciolga i dubbi comuni riguardanti il corretto utilizzo di questi modi e che ci renda autonomi dai mass media senza permettere loro di fuorviarci dal corretto uso della nostra meravigliosa lingua.  

 

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“Federicus”: il Re è in città! 25-26-27 aprile 2014

Ieri, 25 aprile 2014, ha avuto inizio la manifestazione medioevale “Federicus” che ha luogo ad Altamura (BA) e prosegue nella giornata di oggi e di domani. 

E’ una manifestazione incredibilmente suggestiva: non appena si accede al paese si viene immediatamente immersi nel passato, tutte le strade sono allestite a tema, coloro che ne prendono parte indossano indumenti tipici di quel tempo realizzati egregiamente in ogni minimo dettaglio, nelle strade vi sono mercatini dai quali si possono acquistare oggetti artigianali o prodotti alimentari, anche loro un richiamo al passato. 

La giornata si articola in diverse attività organizzate per fasce orarie, a tutti i visitatori vengono distribuite delle guide per orientarsi nel paese e per scegliere, a seconda delle preferenze, a quale attività assistere. Ci sono cortei, artisti di strada, arcieri, falconieri.

Ieri ho avuto il piacere di assistere ad alcune di queste attività, la prima delle quali quella di un artista di strada: mi ha lasciata turbata, incredula e allo stesso tempo stupefatta.

Un uomo dalle abilità fisiche incredibili capace di camminare sui vetri, di stendersi su questi mentre uno degli spettatori scelto fra il pubblico gli camminava sul petto.  Un momento intriso di impressionismo: bocche spalancate nell’incredulità ed una domanda taciuta aleggiava nell’aria “ma come può un uomo riuscire a fare questo?”

Ma egli non era l’unico artista di strada presente: in una stradina un giovane gruppo di ragazzi allietava la folla con la loro simpatia, un menestrello, un mangiafuoco ed una ragazza.

Giovani, abili ed innamorati di quello che fanno, hanno trasmesso al pubblico l’allegria e la loro passione, l’unico dispiacere è rivolto al piccolo spazio che gli hanno concesso troppo raccolto e pericoloso per l’attività da loro svolta, infatti, chi si trovava ad assistere in prima fila era eccessivamente vicino al fuoco ed anche per loro stessi era motivo di tensione ed eccessiva responsabilità. 

In seguito mi sono diretta allo spettacolo di falconeria: falchi e gufi erano lì riuniti al cospetto della curiosità del pubblico. Molto interessante è stata la spiegazione dell’addestratore il quale ci ha fornito informazioni riguardo le curiosità più comuni: si è soliti credere che i falchi siano capaci di portare le loro prede, di spostarle ed è una falsa credenza; la loro apertura alare oscilla dai 2 metri e 80 ai 3 metri. Ci ha inoltre raccontato di una crudele usanza antica attuata dagli arabi ovvero cucivano gli occhi dei falchi e li scucivano esclusivamente ai fini della cacciagione.

Ha inoltre sfatato un altro luogo comune che ha per protagonista il gufo reale il quale, da sempre, si crede non veda di giorno e che, di conseguenza, per questa ragione preferisca volare di notte. In realtà preferisce volare di notte in quanto ha maggiori energie rispetto al giorno. Ha un muso a forma concava ricoperto di piume ed è caratterizzato da un volo silenzioso.

Possiede un udito particolare: a sinistra sente i rumori orizzontali, a destra, invece, sente i rumori verticali.

I gufi reali volano esclusivamente per due ragioni: o per cacciare, o per accoppiarsi.

Se in cattività possono vivere fino a sessant’anni (anni corrispondenti a quelli umani, a differenza di quelli dei cani), ma possono arrivare, sempre in cattività fino a settant’anni, non in cattività invece non oltre i sessant’anni. L’addestramento di questa animali ha un unico ingrediente: la fiducia.

Un altro animale del quale ci ha parlato è il falco pellegrino, ovvero il più veloce. Razza che si era quasi completamente estinta, sopravvissuta esclusivamente grazie all’illecito appropriamento di chi ha osato pur di preservarla.

Questi sono solo alcuni accenni su ciò che potreste far vostro con la semplice partecipazione a questa meravigliosa iniziativa, assolutamente originale ed innovativa, respirereste per le vie la passione di queste persone disposte a condividere con voi il loro sapere e a fare tutti insieme un salto nel passato!   

Clicca qui per visualizzare l’album dell’evento.

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Dialetto: sinonimo di volgarità?

Ebbene uno degli argomenti che più mi preme trattare è il tanto combattuto dialetto.

Grazie ai miei studi (sono una studentessa in Lettere Moderne), posso sfatare alcuni luoghi comuni sul tanto denigrato, ed a volte elogiato, dialetto.

Riconoscerne le situazioni d’uso è un buon punto di partenza per valorizzare il nostro accento senza abusarne, se al momento giusto, non è mai fuori luogo.

Avremo dunque degli assi di variazione:

1) Variazione diatopica: area geografica in cui viene usata la lingua e, più specificatamente, dalla regione di provenienza dei parlanti e ancora più specificatamente, dalla loro distribuzione geografica;

2)  Variazione diastratica: come lo stesso nome ci consiglia riguarda lo strato o gruppo sociale al quale appartengono i parlanti e ancora più specificatamente, dal posto che occupano nella stratificazione sociale;

3)  Variazione diafasica: ovvero la situazione comunicativa nella quale viene usata la lingua;

4)  Variazione diamesica: questa variazione si è aggiunta solo recentemente, riguarda il mezzo fisico-ambientale di comunicazione che viene adoperato.

Bene, il dialetto impegna in modo particolare due di queste variazioni, ovvero quella diafasica, nonché situazionale e quella diastratica, nonché sociale, ma che vuol dire?

La variazione diafasica (situazionale) ci aiuterà a distinguere il corretto contesto nel quale adoperare il dialetto: ovviamente saranno contesti informali, quali la casa, quando si è con gli amici, di certo non in un contesto ufficiale quali un colloquio di lavoro, la scuola, l’università; la variazione diastratica (sociale) ci aiuterà a distinguere i ceti di provenienza, sia chiaro, un individuo che parla il dialetto non va classificato come ignorante, ma anche questo dipende dal modo in cui lo parla e dal contesto nel quale lo usa.

Ma a cosa servono tutte queste nozioni?

Bene lo scopo di questo “articolo” vuole essere quello di valorizzare il dialetto e ricordare che questo è una vera e propria lingua a sé stante e NON una varietà dell’italiano, dunque in quanto tale possiede delle regole grammaticali proprie che, anche qui, bisogna conoscere per poterlo parlare correttamente.

Dunque il dialetto NON è sinonimo di ignoranza, ma al contrario va preservato e valorizzato, perché ci ricorda le nostre origini, è insito in noi e non è giusto annientarlo. Da quanto su esposto ne conviene dunque che bisogna saper distinguere le corrette situazioni d’uso del dialetto.

 

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Noah…che magnifica scoperta!

In programmazione dal 10 aprile 2014 nelle sale cinematografiche, “Noah”, il film che narra la storia del prescelto dal Creatore per compiere una celebre impresa.

Ne sono stata immediatamente incuriosita  e allo stesso tempo affascinata, sia per l’alone leggendario e misterioso che lo storia in sé contiene, sia perché ho da sempre un debole per i film tratti dalla storia e mai come questa volta le mie aspettative non erano infondate.

Un cast solenne con la partecipazione di Russell Crowe, Emma Watson e tantissimi altri attori di notevole importanza.

E’ un film che conduce alla riflessione, un uomo, un semplicissimo essere umano imperfetto per natura, viene prescelto dal Creatore per compiere un’importantissima impresa ovvero salvare gli innocenti grazie alla costruzione di un’arca che li salverà durante il diluvio universale.

Ma chi sono gli innocenti?

Iniziamo dal principio, ebbene sì “principio” sarà una delle parole chiavi di questo film. Noah, nonché per noi Noè, dovrà portare a termine un arduo compito, ma perché gli viene affidato?

Il giardino dell’Eden era una paradiso terrestre prima che Adamo ed Eva venissero messi di fronte alla scelta, simbolicamente rappresentata con la mela colta dall’albero: cosa scegliere? Lasciarsi tentare dal peccato, o preferire il bene? Be’ sarà in questo momento che si scoprirà la debolezza insita nell’essere umano, imperfetto di natura, incapace di resistere alle tentazioni e costretto a cedere al peccato. L’uomo è colui che ha rovinato tutto, che ha anteposto i propri vizi, i propri desideri, l’uomo violenta il mondo per renderlo a propria immagine e somiglianza, un’immagine imperfetta, diversa da quella che il Creatore gli aveva donato.

Ma allora chi sono gli innocenti fra tutti questi peccatori?

Gli animali, sono loro i veri innocenti, le vittime delle azioni incuranti dell’uomo, sono loro gli esseri da salvare, solo loro sopravviveranno, solo loro non meritano di essere giudicati. Ma non incontrerà poche difficoltà nel mettere in pratica la parola del Creatore.

Noè ha una moglie e tre figli quando riceve questo compito, quando inizia a comprendere che non resta molto tempo al mondo, che non resta ancora molto tempo all’umanità. Fondamentale sarà la figura del nonno, Matusalemme, al quale cercherà di rivolgersi per comprendere come agire, ma dapprima dovrà vedersela con i Vigilanti.

Ma chi sono i Vigilanti?

Sono figure mostruose ostili al genere umano, in quanto al momento del peccato originale li sostennero e diedero loro un’altra opportunità che gli uomini spinti dal loro egoismo non seppero apprezzare, in seguito a questo episodio vennero pietrificati e cacciati dai cieli. Ora Noè si trova di fronte e figure spaventate e sfiduciate, pronte a sconfiggerlo pur di non aver più nulla a che fare con la loro razza. Solo in seguito capiranno che non hanno di che temere di Noè e che anzi ha da portare a termine un arduo compito. Incontrerà l’ostilità degli uomini presuntuosi, in particolar modo di colui che si crede Re di quella terra, il quale porterà al suo seguito una massa di uomini inferociti desiderosi di uccidere Noè, quell’uomo che si fa portatore del giudizio universale.

Una scena che mi ha colpita particolarmente di questo film è quando giunge il momento del giudizio, il diluvio e Noè è costretto a dover salvare soltanto gli animali e si odono le urla di dolore degli uomini fuori dall’arca in preda alle acque impazzite. “Il giudizio verrà dal cielo, le acque scenderanno dai cieli” e si vede il volto affranto e provato dal dolore, è un compito ben più grande dell’animo di un essere umano eppure è stato scelto dal Creatore perché sapeva che l’avrebbe portato a termine anche se estenuante, sapeva che non si sarebbe fatto sopraffare dalla debolezza umana. Sfida il disprezzo delle persone che ama: la moglie, lo segue in tutta la sua impresa, solo quando quest’ultima per essere portata a termine richiede l’uccisione delle sue due prime nipoti, figlie del loro primogenito Sem, perché la razza umana deve estinguersi e essendo di sesso femminile implica il susseguirsi della specie, smette di appoggiarlo; Sem, il suo primogenito che, divenuto padre, reputa appunto disumano che il nonno delle sue figlie le voglia uccidere pur di portare a termine un “semplice” compito; Cam, il secondogenito che a seguito del giudizio universale, essendo rimasti solo loro come ultimi capostipiti della razza umana, non troverà mai moglie, finché, nel caos del diluvio incontrerà una giovane vittima innocente se ne innamorerà ma Noè terrorizzato alla vista del figlio che sta per essere travolto dall’esercito umano inferocito, lo costringerà a lasciarla lì pronta per essere travolta e morire; ma egli sa di aver ricevuto un compito sente di doverlo portare a termine, a costo dell’odio di chi ama.

Terrificante è il discorso che fa Noè alla sua famiglia quando si trovano nell’arca durante il diluvio “Sem e Ila (moglie del primogenito) seppellirete me e tua madre; tu Cam seppellirai Sem ed Ila; tu, Jeffrey, sarai l’ultimo uomo”. E’ una scena agghiacciante, un discorso che fa prendere loro consapevolezza di vuol dire portare a termine quel compito, cosa ancora più agghiacciante è come lo stesso Noé riesca a dire queste parole che riguardano la loro morte e la morte della razza umana ai suoi figli,

Durante il combattimento con  l’esercita di colui che si ritiene Re, i Vigilanti che avevano sostenuto per tutto quel tempo Noè moriranno per difendere lui e la sua famiglia e questo gesto concederà loro di essere accolti nuovamente dal Creatore e tornare ad essere luce, come lo erano in principio.

Una frase che per me è stata spunto di riflessione la pronuncia Noè al figlio Cam quando quest’ultimo infuriato perché non riesce a trovare moglie e, dunque, a diventare un vero uomo, insiste col chiedere al padre di trovare anche a lui una donna ed egli gli risponde: “ci è stato affidato un compito più grande dei nostri desideri”, credo che dovremmo ricordarci più spesso di questa frase, quando i nostri desideri si antepongono ai nostri doveri, solo così potremo portarli a termine.

Un film che tiene alta la suspance, che ti lascia con il fiato sospeso, in particolar modo mi sono ritrovata ansiosa e allo stesso tempo non avevo il coraggio di sapere che ne sarebbe stato delle nipoti, le avrebbe davvero uccise pur di compiere l’opera? Ebbene no, con mia grande sorpresa giunti nel momento clou ritorna ad essere umano e sceglie la loro vita “perché le ho guardate e ho sentito solo amore”, così afferma.

Era stato il volere della moglie la quale, presa coscienza dell’infertilità di Ila a seguito di una ferita che subì da bambina durante il caos del giudizio, si rivolge a Matusalemme, il quale la cura, ciò provoca l’ira e la disperazione di Noè già afflitto dai sensi di colpa per il terribile gesto che aveva dovuto compiere: lasciare fuori dall’arca tutte quelle persone, bambini compresi. In caso fosse nata una bambina, l’avrebbe dovuta uccidere, in caso della nascita di un uomo, sarebbe stato lui l’ultimo sulla Terra, ma poi giunto nel momento di dover compiere l’atroce e disumano gesto, non riesce, è troppo persino per lui.

Ritroveremo Noè a distanza di anni solo e disperato ad ubriacarsi sulle rive del mare, finché la dolce Ila non gli chiederà il perché del suo isolamento “ho deluso tutti voi”, affermerà Noè, è toccante il suo senso di colpa per un gesto che ha dovuto compiere non senza difficoltà e non per sua volontà. Tornerà dalla moglie e dalla sua famiglia, solo dopo aver placato il suo animo sofferente.

E’ un film che conduce alla riflessione, a pesare le azioni che facciamo, a preoccuparci del mondo che ci circonda, a ricordarci che l’imperfezione è insita in noi, a ricordarci che dobbiamo essere più rispettosi nei confronti della natura, a far andare il progresso di pari passo con la natura, nulla di ciò che calpestiamo è nostro, nulla di ciò che ci circonda lo possediamo, possiamo usufruirne, ma non distruggerlo.

Vi lascio con una citazione di questo film molto bella a mio parere:

<<Non desidera altro che amore, non basta questo per essere buono?>>  

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Apostrofo sì, apostrofo no? Accento o apostrofo

Uno degli scopi principali che questo blog si pone, è quello di sciogliere alcuni dei dubbi e degli errori più frequenti nello scrivere la lingua italiana, basta essere iscritto ad un Social Network per assistere quotidianamente ad alcuni degli errori più eclatanti che si possano commettere nello scrivere e amando la nostra lingua, prima e più di qualsiasi altra, sento l’esigenza e, in un certo senso, anche il dovere di sciogliere questi dubbi.

Bene iniziamo dal tanto scomodato apostrofo nell’espressione “qual è” che, ahimè, noto sempre più frequentemente ed erroneamente scritta con l’apostrofo ovvero “qual’ è”. Sprechiamo un apostrofo di troppo in quanto questa espressione ne è priva essendo essa un’apocope vocalica e, in più, il lemma “qual” è riconosciuto come lemma a sé stante.

Ma…cos’è l’apocope?

L’apocope può essere di due tipi: 1) vocalica: fil di ferro (espressione che noi comunemente usiamo apocopata a nostra insaputa); 2)sillabica: gran anziché grande. “Qual” appartiene al caso di apocope obbligata, altri, invece, sono a seconda del nostro gradimento, scritti con l’apocope o meno, ad esempio: fanno\fan, poco\po’.

Riguardo a quest’ultimo esempio è necessaria una precisazione: un altro frequente errore è scrivere un pò anziché un po’, in quanto “un po’ “ è anch’esso un’apocope, in questo caso sillabica, ovvero l’apostrofo elide una parte della sillaba di “poco”, dunque scriveremo un po’ e NON un pò.

L’accento ha lo scopo di enfatizzare, di accentuare, appunto, la pronuncia di una sillaba e NON di elidere una sillaba o una vocale, sono due funzioni ben diverse e mi auguro in questa breve spiegazione di avervi fornito gli strumenti sufficienti per riconoscerne le differenze ed imparare ad utilizzarli nel modo più idoneo possibile, perché oggi più che mai si invita allo studio delle lingue a noi straniere, senza ancora conoscere e saper utilizzare correttamente la nostra. 

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Lutto nel panorama letterario: Gabriel García Márquez

Il  primo articolo che pubblico nel mio blog è inevitabilmente dedicato alla triste scomparsa di una grandissima personalità del panorama letterario: Gabriel  Garcìa Marquez, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1982. Stando a quanto affermato dai giornali, l’autore ormai ottantasettenne malato da tempo, era stato ricoverato in ospedale per via dell’aggravarsi di una polmonite. Ormai le sue condizioni  precarie di salute lo avevano costretto a ridurre le apparizioni pubbliche.

Gabo, così era soprannominato l’autore, era considerato il maggiore esponente del “realismo magico” nella narrativa, ha rilanciato con la sua scrittura l’interesse per la letteratura latinoamicana.

Oggi, in data 17 aprile, il panorama letterario saluta con grande rammarico uno degli scrittori più importanti, ritenuto il più popolare dopo Miguel de Cervantes nel XVII secolo.

Autore di “Cent’anni di solitudine”, romanzo che l’ha reso noto, ha venduto più di 50 milioni di copie in ben 25 lingue. Un altro dei sui libri più famosi è “L’amore al tempo del colera” .

La sua narrativa è caratterizzata da una piacevole scorrevolezza, sempre molto ricca e carica di immagini, costantemente pervasa da un’amara ironia.  

L’augurio più grande che ci si possa fare, è di riuscire ad avere altri autori altrettanto significativi nel futuro del nostro panorama letterario. 

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